Gender Pay Gap: il divario salariale frena la crescita e alimenta le disuguaglianze.

Nel mondo le donne continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di lavoro.

In Italia lo scarto arriva al 20%, con punte del 39,9% in alcuni settori.

Una disparità che pesa sull’economia e favorisce la dipendenza economica, terreno fertile per la violenza di genere.

Fare lo stesso lavoro dei colleghi uomini, ottenere gli stessi risultati ma ricevere una retribuzione inferiore: per le donne non è un’eccezione, ma una regola che si ripete in tutti i Paesi.

Il gender pay gap è una forma di ingiustizia sociale che non solo penalizza professionalmente, ma diventa anche una porta di accesso alla violenza economica e psicologica, rendendo più difficile l’autonomia e l’uscita da situazioni di abuso.

La disparità retributiva non danneggia solo le donne, ma l’intero sistema economico.

Secondo stime dell’Unione europea, nel 2023 il gender pay gap ha determinato una perdita economica pari a quasi il 3% del Pil.

L’International Equal Pay Day, celebrato il 18 settembre, richiama ogni anno l’attenzione su questo tema, ricordando che la parità salariale è un requisito fondamentale per crescita, competitività e giustizia sociale.

Il Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum mostra che il divario complessivo di genere è stato colmato solo al 68,8%, con un progresso minimo rispetto al 2024.

Se il ritmo attuale non cambia, ci vorranno 123 anni per raggiungere la piena parità.

Le aree più problematiche restano la partecipazione economica e le opportunità, con solo il 61% del gap colmato, e l’empowerment politico, fermo al 22,9%.

I Paesi nordici restano in testa alla classifica, con l’Islanda che ha chiuso il 92,6% del divario, ma in molte grandi economie i progressi sono lenti o addirittura in regressione.

Le donne partecipano sempre di più all’istruzione terziaria, ma restano sottorappresentate nei ruoli apicali: solo il 29,5% dei manager laureati è donna.

La forza lavoro globale è composta per il 41,2% da donne, ma spesso concentrate in settori a bassa remunerazione come istruzione e cura.

Le interruzioni di carriera rappresentano un ulteriore ostacolo: le donne hanno il 55% di probabilità in più rispetto agli uomini di sospendere il lavoro, spesso per periodi lunghi, con effetti negativi su reddito e progressione professionale.

Secondo Eurostat, le donne europee guadagnano in media il 12% in meno all’ora rispetto agli uomini, con differenze che vanno da un -0,9% in Lussemburgo a un -19% in Lettonia.

L’età amplifica il problema: se tra i 25 e i 34 anni il gap si attesta intorno al 5-10%, dopo i 45 anni può superare il 20%, soprattutto in Paesi come Germania e Repubblica Ceca.

Nei settori finanziari e assicurativi le differenze arrivano a superare il 36%.

In Italia, secondo il Rendiconto di genere 2024 dell’Inps, le donne percepiscono il 20% in meno rispetto agli uomini, con punte del 39,9% nel settore immobiliare e del 35,1% in quello scientifico e tecnico.

Anche le giovani laureate iniziano la carriera con stipendi inferiori e mantengono questo svantaggio lungo tutto il percorso lavorativo.

Nel Mezzogiorno la situazione è ancora più critica: l’istruzione universitaria attenua il divario, ma non lo annulla, complice un tasso di occupazione femminile molto basso.

La Strategia europea per la parità di genere 2020-2025 ha identificato la parità salariale come priorità, riaffermando il principio “stessa retribuzione per un lavoro di pari valore” sancito fin dal Trattato di Roma.

Nel 2026 entrerà in vigore la nuova direttiva sulla trasparenza salariale, che obbligherà le imprese a comunicare chiaramente i livelli retributivi, rendendo più facile per i lavoratori rivendicare un trattamento equo.

In Italia, un passo avanti concreto è la certificazione della parità di genere, introdotta dalla Legge 162/2021 e basata sulla prassi UNI/PdR 125:2022.

Questo strumento valuta sei aree chiave – dalla cultura aziendale alla governance, dall’equità retributiva alla conciliazione vita-lavoro – e ha durata triennale con monitoraggio annuale.

Le imprese certificate godono di incentivi economici, punteggi premiali nei bandi pubblici e un rafforzamento della reputazione aziendale.

Dal 2023, il nuovo Codice dei contratti pubblici collega direttamente inclusione e competitività, premiando le aziende che investono nella parità.