Anche gli IPhone scadono.
La “built-in obsolescence” (ovvero l’obsolescenza programmata), parola sconosciuta ai più ha guadagnato nel corso degli ultimi giorni un posto nella cronaca per via di una inchiesta avviata dalla giustizia francese contro Apple. L’azienda di Cupertino (California) sarebbe infatti accusata di aver messo in atto tecniche per ridurre deliberatamente la durata di funzionamento di un prodotto, allo scopo di velocizzarne i tempi della sua sostituzione e quindi vendere di più. Sotto accusa sono soprattutto gli iPhone, prodotto di punta di Apple, che verrebbero rallentati da aggiornamenti troppo “pesanti” per i vecchi modelli di smartphone. Il marchio della Mela ha effettivamente ammesso di rallentare i suoi dispositivi in funzione del deterioramento della batteria, ma nega di essere intervenuta per accorciarne il ciclo di vita.
L’obsolescenza programmata non “colpisce” solo i grandi elettrodomestici, ma oramai riguarda anche prodotti di alta tecnologia come gli smartphone in possesso di milioni di consumatori anche in Italia.
L’iPhone è lo smartphone più popolare di tutti i tempi e solo nel 2017 ne sono stati venduti 223 milioni. Sarebbero dunque milioni i consumatori ingannati anche in Italia.
Sul tema dell’obsolescenza programmata, a livello europeo qualcosa è iniziato a muoversi a giugno del 2017 quando, i deputati europei della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori hanno invitato la Commissione a prendere dei provvedimenti per limitare l’obsolescenza pianificata di prodotti informatici e software. La Commissione IMCO chiede, oltre ad una definizione che chiarisca a livello europeo i termini dell’obsolescenza programmata, anche di introdurre un sistema indipendente che, in accordo con le autorità di sorveglianza del mercato, possa individuare i prodotti caratterizzati da questa strategia industriale.
L’avvio dell’inchiesta in Francia è stato possibile poiché nel paese è in vigore dal 2016 una legge che individua nell’obsolescenza programmata un vero e proprio reato per il quale è prevista una multa che varia da 300 mila euro al 5% del volume d’affari dell’azienda ritenuta colpevole.
In Italia una legge analoga non esiste, abbiamo però un’Autorità garante della concorrenza e del mercato che è già intervenuta contro Apple rispetto alla violazione della garanzia legale.