Furto d’identità

Furto d’identità: un italiano su otto vittima di clonazione carta!

Furto d’identità, phishing, clonazione di carte di credito, apertura di finanziamenti a proprio nome: sono fenomeni sempre più diffusi e sempre più conosciuti dagli italiani, che mostrano di conoscere i rischi ma allo stesso tempo sono poco attenti alla diffusione dei propri dati online. Alcuni non si pongono nemmeno il problema, salvo poi interessarsene quando si diventa vittima di un furto d’identità o di una frode.

La ricerca online sul furto d’identità commissionata da CRIF a Smart Research ha messo in evidenza che, a fronte di un fenomeno diffuso e sempre più conosciuto, la maggior parte degli italiani “dimostra di sottovalutare completamente le conseguenze causate dalla condivisione di informazioni personali sulla Rete o attraverso i social network, tanto che nel 58% dei casi si dichiarano poco o per niente attenti alla diffusione dei propri dati online e, più nel dettaglio, nel 28% dei casi non si pongono neppure il problema, dichiarando di non fare nulla di particolare per tutelarsi”. Allo stesso tempo, quattro intervistati su cinque confermano di subire tentativi di phishing con una certa regolarità mentre 1 su 8 dichiara di essere stata vittima della clonazione di una carta.

Accade allora che il livello di attenzione si alzi, e ci si attivi per tutelare i propri dati, quando si scopre di essere vittima di un furto di identità, che sia relativo alla clonazione di una carta di pagamento o all’apertura di un finanziamento a proprio nome. Seppur si sia diffusa rispetto ad alcuni anni fa la conoscenza (per esperienza diretta o indiretta) di questi fenomeni, tuttora vengono ampiamente sottovalutati i rischi di lasciare troppe tracce di sé sul web e non sempre sono adeguati, se non addirittura assenti, gli strumenti utilizzati per proteggere i dati su smartphone, PC e tablet. Questo è tanto più vero per i giovani rispetto alla popolazione più adulta, che accede al web anche per gestire i propri conti bancari.

Quattro italiani su 5 ricevono almeno una volta al mese e-mail che tentano di carpire dati personali attraverso il phishing, la tecnica più semplice ma anche più usata, ovvero la truffa perpetrata attraverso l’invio di messaggi email che imitano la grafica di siti bancari o postali con l’obiettivo di ottenere dalle vittime informazioni personali o credenziali del proprio conto corrente o della carta di credito. Si tratta di un fenomeno molto diffuso, tanto che il 60,6% degli intervistati ha dichiarato di subire tentativi di phishing con una certa frequenza, almeno 2 volte al mese, mentre il 22,2% ha dichiarato di ricevere e-mail di phishing una volta al mese. Il 7,7% ha dichiarato di aver risposto almeno una volta ad un messaggio fraudolento. Cosa accade in seguito? Chi ha commesso la leggerezza di rispondere, resosi conto dell’errore, successivamente si è adoperato nel contattare la banca o l’emittente della carta di credito (60,8%) o la polizia postale (46,9%) per cercare di porre rimedio; il 27,6% dei rispondenti, una volta resosi conto dell’accaduto, non si è invece preoccupato eccessivamente. In gran parte dei casi, però, chi riceve un attacco di phishing non risponde e cestina l’email (nell’85,8% dei casi) e spesso si attiva preoccupandosi di allertare amici e conoscenti (22,3%) o contattando la propria banca (13,4%) o la polizia postale (11,9%).

Il 13,1% degli intervistati è stato vittima di clonazione di carta di pagamento. Uno italiano su otto, dunque, suo malgrado ha scoperto la clonazione di una sua carta con cui sono state fatte spese o prelievi a sua insaputa. In più di un terzo dei casi (il 34,4%) la scoperta è avvenuta grazie al servizio di sms alert che segnala con un messaggio i movimenti effettuati, in seconda battuta da un avviso della banca o della società emittente della carta (28,8%) e, infine, leggendo l’estratto conto a fine mese (14,6%). Le clonazioni hanno riguardato soprattutto carte di credito (62,7%), seguite dalle prepagate (1 caso su 5) e dai Bancomat (1 caso su 6). E nella metà dei casi le vittime sono abbastanza consapevoli delle modalità con cui sono stati rubati i dati della carta: il 39,7% delle vittime ha dichiarato che i dati della carta sono stati clonati durante un acquisto su internet, il 20,4% ha dichiarato che la clonazione è avvenuta durante una transazione su un POS mentre il 33% delle vittime ha ammesso di non sapere come sia avvenuto il fatto.

Altro fenomeno che sfrutta di dati personali è il furto d’identità volto ad aprire finanziamenti a nome altrui: due italiani su tre dichiarano di conoscere questo tipo di frode e hanno idee abbastanza chiare sui disagi cui si può andare incontro – la perdita di denaro, l’addebito di importi consistenti, la segnalazione come cattivo pagatore nei Sistemi di informazioni creditizie e la possibilità di avere problemi con la giustizia sono segnalati da percentuali che vanno dal 41% al 31% dei rispondenti – mentre solo il 10,8% non ha una esatta percezione dei rischi.

La ricerca mette in evidenza che gli intervistati che hanno subito questo tipo di frode (pari all’1,8% del campione) non hanno saputo risalire a come il frodatore si sia impossessato dei propri dati in circa la metà dei casi, mentre

nell’altra metà le modalità attraverso cui sono stati sottratti i dati sono da ricondursi alla comunicazione spontanea dei dati da parte della vittima per finalità apparentemente lecite (23,6%) e la sottrazione della corrispondenza bancaria dalla cassetta postale (12,5%).

Gli intervistati individuano come fattori di rischio e possibili cause del furto d’identità, per oltre il 40% dei casi, eventi legati al furto di documenti o strumenti di pagamento nel mondo reale ed eventi legati al mondo online, quali l’accesso indebito a caselle di posta elettronica o le transazioni online su siti di e-commerce. In particolare, il 33% degli intervistati riconosce come possibile fattore di rischio la pubblicazione di dati su social network ma in realtà non sempre i comportamenti di tutela sono coerenti quando si è in Rete. Risulta diffusa la tendenza a sottovalutare i rischi di pubblicare i propri dati sul web. Alla domanda su come si proteggono i dati in Rete, infatti, ben il 28% degli intervistati dice di non preoccuparsi di questo aspetto. Per altro, questa tendenza risulta particolarmente marcata tra i più giovani, i cosiddetti nativi digitali, tanto che nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni la quota dei rispondenti che ammette di non far nulla di particolare per proteggere i propri dati è addirittura pari al 38%.

Allo stesso tempo, certamente c’è una crescente attenzione alla protezione degli strumenti usati per accedere al web – il 59% dichiara di evitare di cliccare link sospetti, il 49% usa antivirus gratuiti, il 36% fa ricorso ad antivirus a pagamento mentre solo il 5,8% del campione dice di non fare nulla – ma i comportamenti di tutela sono disomogenei a seconda dell’area geografica di residenza e dell’età. In linea generale l’attenzione alla protezione dei propri dati aumenta al crescere dell’età. I giovani under 24 dichiarano di utilizzare nell’83,8% dei casi versioni di antivirus gratuite per proteggere i propri device mentre nel 10,8% dei casi non utilizzano alcuno strumento di protezione. A questo si aggiunge una maggiore consapevolezza in chi ha conti correnti bancari con opzione di home banking rispetto a chi dispone di un conto corrente senza opzione di home banking.

Le abitudini cambiano dopo aver subito un furto d’identità. Tutte le vittime intervistate dalla ricerca hanno infatti cambiato comportamenti dopo aver scoperto di aver subito un furto d’identità, anche se con modalità diverse: mentre il 42,9% dei rispondenti si è limitato a controllare più di frequente l’estratto conto, un buon il 57,1% ha assunto comportamenti di prevenzione attivi, come condividere con maggiore cautela i propri dati sul web (nel 21,3% dei casi), attivare protezioni tramite SMS alert per essere avvisati in caso di nuovi finanziamenti richiesti a proprio nome e/o installare nuovi antivirus (12,5%) o, ancora, prestare maggiore attenzione nel fornire i dati personali a terzi e nel custodire i documenti d’identità (10,7%).