Eventi climatici estremi, l’Enea individua le aree più a rischio di mortalità

Gli eventi climatici estremi stanno aumentando e uno dei primi dati sui quali misurarne l’impatto è la mortalità. Contare il numero di vittime degli eventi meteorologici e idrogeologici estremi in Italia per capire dove si rischia di più. Perché ci sono delle aree del territorio, delle regioni e dei luoghi più a rischio. Uno studio dell’Enea, pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment, ha permesso di identificare le aree d’Italia più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi.

Dal 2003 al 2020 gli eventi estremi hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni.

Come spiega l’Enea, le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi.

Numero e frequenza degli eventi estremi sono drammaticamente aumentati anche in Italia, come evidenziano i rapporti periodici dell’Istituto Italiano per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e di associazioni ambientaliste come Legambiente. Dal 2009 al 2014 sono aumentate frane e alluvioni.

Secondo dati Legambiente, da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio dell’Enea.

Il dossier disegna un quadro della mortalità italiana dal 2003 al 2020 dovuta a eventi estremi (frane, valanghe, temporali e alluvioni), in termini di distribuzione geografica dal livello nazionale a quello comunale.

“La mortalità è l’unico indicatore sanitario disponibile per tutti i comuni italiani, consentendo di indagare l’intero territorio italiano – spiega lo studio – Naturalmente, l’impatto reale degli eventi estremi è sottostimato perché non può tenere conto delle persone sopravvissute, alcune delle quali con gravi traumi fisici e psicologici”.

I risultati? Trentino-Alto Adige, Lombardia, Sicilia, Piemonte, Veneto, Abruzzo e Valle d’Aosta sono emerse come le regioni a più alto rischio in termini di livelli di mortalità e per l’inclusione di un numero considerevole di comuni colpiti da casi di morte all’interno dei confini regionali.

Risultano più a rischio di eventi estremi le regioni montane e risultano particolarmente a rischio le aree meno abitate. Circa la metà dei comuni italiani con almeno un decesso è rappresentato da centri montani o poco abitati dove il rischio di mortalità da eventi estremi potrebbe essere legato alla fragilità del territorio o alle difficoltà dei soccorsi.

Un’ipotesi potrebbe essere che queste aree siano intrinsecamente più pericolose delle città in caso di eventi estremi, forse a causa di minori protezioni infrastrutturali o addirittura di tempi più lunghi necessari affinché i soccorsi arrivino e siano operativi”, si legge nello studio.

A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto.

 

L’Italia è paese fragile: oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio di eventi meteo estremi, soprattutto di frane e inondazioni.

Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni –Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti».

Le regioni e le aree ad alto rischio dovrebbero essere considerati prioritari per indagini e azioni di mitigazione del rischio, che vanno dirette alla prevenzione degli esiti catastrofici.

Nelle conclusioni lo studio Enea suggerisce un percorso di azioni necessarie.

La prima necessità è attuare piani d’azione a lungo termine volti a garantire la sicurezza delle persone, degli edifici e dei beni. In secondo luogo, quando le azioni preventive risultano insufficienti, è importante essere preparati ad attivare le strutture sanitarie, anche in termini di posti letto e di terapie adeguate per i traumi fisici e psicologici occorsi alla popolazione residente. Inoltre, le strategie di emergenza per evitare il consumo umano di cibo e acqua contaminati, potenziale causa di epidemie, dovrebbero essere attivate immediatamente dopo l’evento. In terzo luogo, devono essere immediatamente operativi ed efficaci anche i piani tecnici volti al ripristino di tutte le condizioni ambientali, infrastrutturali, economiche e sociali esistenti prima dell’evento.

In un contesto di aumento di eventi meteo estremi, conoscere le aree ad alto rischio permette di valutare priorità, definire misure di allarme, e di agire per prevenire ulteriori disastri.